Tariffe Catastali

Mentre per categorie D ed E il calcolo rendita catastale è a stima diretta, la rendita catastale (definita come “Rendita lorda media ordinaria ritraibile previa detrazione delle spese di riparazione, manutenzione e di ogni altra spesa e perdita eventuale… “ Art. 9 R.D.L. 13.04.1939 n. 652) delle categorie dei gruppi A, B e C si ottiene moltiplicando la loro consistenza per le tariffe catastali relative a ogni classe.

Le tariffe catastali  sono calcolate per comune, per categoria e per classe di produttività.

Rendita Catastale

La rendita catastale di una u.i.u. ( è possibile conoscerla tramite il servizio disponibile qui) dipende soprattutto dalla “macrozona”, omogenea per caratteristiche ambientali e socio-economiche. È inoltre influenzata: dalla ubicazione di uno specifico comune e, all’interno di questo, in ragione della località (capoluogo, frazione, campagna, ..), dalla specifica tipologia edilizia, dal grado di finitura e stato di conservazione dell’edificio e dell’unità, dalla posizione nell’edificio (livello di piano, esposizione, tipo di affaccio, …)

Al contrario del catasto terreni, per il quale la prima rappresenta la migliore fra le classi di una determinata qualità, al catasto fabbricati le prime classi sono quelle di immobili con caratteristiche più scadenti, le ultime classi rappresentano, invece, immobili più pregiati.

Lo scostamento fra le tariffe catastali di una classe e l’altra varia dal 15 al 25% circa.

Le tariffe catastali , all’impianto del catasto urbano, furono calcolate tenendo conto del reddito minimo che un bene avrebbe potuto produrre in un anno, se affittato, al netto di tutti gli ammortamenti, spese e imposte, eccettuate le imposte dirette.

Ma se l’affitto poteva essere un validissimo parametro sessant’anni fa, non lo è certo oggi.

Infatti le case affittate non sono ormai che il 30% circa del totale, inoltre i canoni d’affitto depositati agli uffici del registro spesso non sono neppure molto attendibili.

Così, al momento della prima revisione degli estimi, i cui effetti sono validi dal 1991, il parametro che fu preso in considerazione non fu già una possibile rendita, ma un dato più certo: il valore di mercato dell’immobile.

Senonché il saggio che è stato scelto per capitalizzare il valore del bene ha valenza molto più politica che reale; per cui quella che attualmente chiamiamo “rendita catastale” ha ben poco a che vedere con una vera rendita.

Altra cosa che ha contribuito a snaturare il concetto di rendita catastale è stata la legge 154/88 che per calcolare l’imposta dovuta all’ufficio del registro in caso di atto traslativo, stabilisce un rapporto fra rendita catastale e valore venale dell’immobile, moltiplicando la rendita catastale per determinati coefficienti.

A prescindere dalla bontà o meno di tali coefficienti, ciò ha trasformato radicalmente il catasto, nato per conservare la storia dei beni immobili, divenuto un ufficio, di fatto, prevalentemente fiscale.